I dilemmi della ricerca ‘human based’

La Lega Antivivisezione (LAV), in occasione della giornata mondiale degli animali da laboratorio, chiede all'Organizzazione Mondiale della Sanità di “coordinare e mettere in atto un'efficace ricerca con modelli human-based, e di evitare inutili e dolorosi test su animali per lo studio del vaccino contro il COVID-19”.

Nel documento si dice anche: “tutti noi vogliamo trovare un vaccino sicuro ed efficace al più presto, ma chiediamo ai ricercatori di tutto il mondo di cooperare per concentrarsi su studi moderni e veramente rilevanti per l'uomo, evitando sofferenze agli animali”

Ebbene, per una volta sono d’accordo con la LAV: credo proprio che se si arriverà ad avere rapidamente un vaccino, potrebbe succedere grazie alla ricerca ’human based’.

Però vorrei anche sottolineare con forza che, anche se si rivelasse efficace, la ricerca ‘human based’ sarebbe un approccio non molto moderno e non molto sicuro (per chi fosse coinvolto negli studi).

Essere costretti a considerare seriamente questa strategia, a causa dell’urgenza, rappresenta una sconfitta, non una vittoria.

Cerco di spiegarmi meglio.

Come si accenna nell’appello, esiste una strada ‘normale’ per arrivare a un vaccino, ben codificata dai protocolli delle agenzie regolatrici. In particolare, si basa sulla dimostrazione di sicurezza ed efficacia in modelli animali, prima che possa essere avviata la sperimentazione sull’uomo. Questa strada ha portato nel 2019 ad avere un vaccino contro il virus Ebola, approvatoda FDA ed EMA, ed efficace al 97,5%. Il vaccino anti-Ebola è un virus non patogeno, prodotto grazie all’ingegneria genetica, a partire dal virus della stomatite vescicolare (rVSV-ZEBOV). Ci sono voluti decisamente più di cinque anni per svilupparlo. Nel 2005, due diversi studi hanno dimostrato che una singola iniezione del vaccino era in grado di evitare la morte di macachi infettati da Ebola (studio 1; studio 2). Avendo a disposizione un vaccino sicuro ed efficace nei primati non umani, gli studi sull’uomo sono iniziati nel 2014. Nello studio di fase I, condotto su volontari sani, si scoprì che la dose utilizzata era troppo alta, perché causava artrite e reazioni cutanee. Gli studi successivi sono stati condotti con dosi più basse, somministrate prima a operatori sanitari fortemente esposti, e infine a centinaia di contatti di persone infette. Il vaccino così ottenuto funziona e la sua iniezione provoca solo reazioni modeste, come mal di testa, febbricola, qualche dolorino articolare o muscolare, in modo simile a molti altri vaccini.

Quindici anni di ricerca e sviluppo! Si sarebbe potuto fare prima, investendo più risorse. Probabilmente la lentezza è stata dovuta al fatto che quella di Ebola non era una pandemia. Inoltre, oserei dire, non ha colpito i paesi più ricchi. Comunque, anche con più risorse, la strada ‘normale’ non avrebbe portato a un vaccino in un tempo inferiore ai cinque anni.

La strada che porterà al vaccino anti COVID-19 potrebbe essere molto diversa dalla via ‘normale’. A differenza di Ebola, in questo caso abbiamo una pandemia in corso. Questo semplice fatto sta inevitabilmente spingendo a forzare le tappe, come apprendiamo dalle notizie dei media. In particolare, non vi sarà sfuggito che siamo già nella fase di ricerca ‘human based’. Diversi vaccini sono già entrati nella fase I di sperimentazione sull’uomo, senza che sia stata dimostrata la loro efficacia in modelli animali. Ottenere questa prova richiederebbe molti mesi, e quindi si è deciso di procedere senza averla. Per ora, sui sette vaccini entrati in fase I, fa eccezione solo il vaccino della Sinovac (azienda con sede in Cina), che ha fornito evidenze di efficacia in macachi.

Però questo non vuol dire che la sperimentazione animale non sia stata finora essenziale anche per gli altri vaccini: tutti i vaccini che sono entrati o entreranno in fase I devono aver almeno dimostrato di essere sicuri negli animali da esperimento. Il sacrificio di questi animali è essenziale per garantire un minimo di sicurezza ai volontari che si fanno iniettare le prime dosi dei diversi vaccini. Alcuni di questi sono solo molecole di DNA o proteine mentre altri, similmente a quello di Ebola, sono virus geneticamente modificati ma vivi.

Per i vaccini che supereranno le prime due fasi della sperimentazione, la fase III comporterà un atroce dilemma. Una normale sperimentazione sul campo richiederebbe molti mesi per poter ottenere una ragionevole dimostrazione di efficacia, necessaria per procedere alla produzione e alla somministrazione di massa del vaccino. Si potrebbe però risparmiare un bel pò di tempo, con il seguente protocollo (human based):

1. vaccinare volontari sani (meglio se giovani);
2. infettarli con una dose certa di virus SARS-CoV-2, prodotto in laboratorio;
3. vedere quanti si ammalano e con che gravità, rispetto a chi non riceve il vaccino.

Il dilemma è stato ben spiegato da Roberto Burioni sul magazine online Medicalfacts, in un recente video

Se questo tipo di ricerca ‘human based’ vi fa orrore, anche se fosse basata su soggetti volontari che non agiscono per denaro, avete perfettamente ragione. L’unica motivazione che renderebbe eticamente accettabile questo approccio è la dannata fretta che abbiamo di sconfiggere la pandemia.

Si tratta in realtà di un approccio antico, utilizzato agli albori dell’era vaccinale. Il 14 maggio del 1796 Edward Jenner iniettò il virus del vaiolo bovino a James Phipps, un bambino di otto anni figlio del suo giardiniere. Come succedeva nei mungitori, James sviluppò solo una piccola pustola. Il primo luglio iniettò di nuovo il bambino, ma questa volta col virus del vaiolo umano, vivo e attivo. Il bambino non si ammalò e questo esperimento è passato alla storia come una pietra miliare della medicina. Pensate però cosa sarebbe successo se il vaccino non avesse funzionato!



Per ora, è sicuramente una sconfitta essere arrivati al 2020 senza aver ancora sviluppato ‘normalmente’ un vaccino efficace contro qualsivoglia coronavirus, considerando che la SARS è scoppiata nel 2002 e la MERS nel 2012.


I test dei vaccini sugli animali non sono dolorosi, perché i protocolli che si usano sono studiati per limitare al minimo le sofferenze.

I test dei vaccini sugli animali sono veramente rilevanti, perché se condotti sui modelli giusti permettono di ottenere preziosissime informazioni sulla sicurezza e sull’efficacia di qualsiasi trattamento.

I test dei vaccini sugli animali non sono inutili, perché servono a ridurre, nei limiti della ragionevolezza, i rischi a cui inevitabilmente devono esporsi gli esseri umani a cui il vaccino viene iniettato.

Naturalmente, potrei non aver capito quali altri siano gli avanzati modelli di ricerca ‘human based’ auspicati nell’appello, che risolverebbero tutti i problemi. In questo caso, mi farebbe immensamente piacere sapere a cosa ci si riferisca.

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