L'anello mancante
Nel mese di marzo 2019 l’Ufficio delle Dogane e il Dipartimento Forestale della provincia di Guangdong confiscò un carico di 21 pangolini malesiani (Manis javanica), importati clandestinamente in Cina. Il pangolino è una specie protetta, a forte rischio di estinzione, a causa della sua carne pregiata e dei suoi molteplici utilizzi nella medicina tradizionale cinese. Vennero inviati a un centro di recupero per animali selvatici, in pessime condizioni di salute. Tutti mostrarono progressivamente la comparsa dei segni di una malattia respiratoria: respiro corto, dimagrimento, mancanza di appetito e atteggiamento piagnucoloso. Nessuno riuscì a sopravvivere, malgrado gli sforzi del personale veterinario del centro. L’autopsia evidenziò chiari segni di polmonite interstiziale. L’agente infettivo non venne identificato e diversi campioni di tessuto vennero conservati in congelatore.
Dopo l’esplosione della pandemia i campioni sono stati rianalizzati, da un gruppo di virologi di Guangzhou, alla ricerca di virus correlati a quelli della SARS-CoV-1 e SARS-CoV-2. L’analisi ha rivelato la presenza di un virus simile, in 17 animali. Uno dei campioni ha permesso l’isolamento del virus, che al microscopio elettronico presenta la classica morfologia dei coronavirus.
Il sequenziamento del virus isolato e degli RNA ottenuti dai campioni di tessuto ha permesso di assemblare la sequenza genomica e di dimostrare che tutti gli animali erano stati infettati dallo stesso ceppo virale. L’analisi della sequenza dimostra un’elevata similarità tra i diversi geni di Pangolin-CoV e SARS-CoV-2, compresa tra il 90 e il 100%. Una analisi più approfondita rivela che il virus SARS-CoV-2 deriva da eventi di ricombinazione tra un antenato del virus di pangolino e un antenato del virus di pipistrello Bat-CoV-RaTG13. La ricombinazione interessa in particolare la Spike protein (S), cioè la proteina che permette al virus di entrare nelle cellule legandosi al recettore ACE2. La parte iniziale della proteina S di SARS-CoV-2 è molto simile a quella di pipistrello. Tuttavia la regione successiva, cioè la parte della proteina che lega il recettore, è praticamente identica a quella di pangolino, con la differenza di un unico aminoacido. L’agghiacciante ma non sorprendente conseguenza di questa scoperta è che anche questo ceppo virale, isolato dal pangolino, sarebbe capace di infettare l’uomo, almeno in teoria.
Lo studio,accettato dalla rivista Nature e pubblicato online con procedura accelerata, fornisce una forte evidenza a supporto di quello che già si sospettava: con tutta probabilità il virus responsabile di COVID-19 è nato da scambi e ricombinazioni tra virus che circolano tra pipistrelli e pangolini, probabilmente nel sud est asiatico. Tale scambio è assolutamente naturale, poiché i pipistrelli e i pangolini sono animali notturni, che si nutrono di insetti e condividono diverse nicchie ecologiche. In questi scambi, i pipistrelli rappresentano il serbatoio naturale, perché non si ammalano quando sono infettati. Invece i pangolini si ammalano e muoiono, per cui sono verosimilmente l’ospite intermedio. L’idea che il virus sia stato importato in un mercato di animali vivi attraverso esemplari contrabbandati e che abbia iniziato da qui la sua corsa pandemica nell'uomo ne esce molto rafforzata.
La forte implicazione di questa scoperta, se ce ne fosse ancora bisogno, è che tra i pangolini e i pipistrelli stanno sicuramente circolando molti altri ceppi di coronavirus che potrebbero infettare l’uomo. Si è speculato molto sul possibile ruolo della mano dell'uomo nella genesi di questa pandemia. L'intervento umano c'entra, eccome! Consiste nel concentrare nei mercati molti animali selvatici potenzialmente pericolosi: una vera bomba biologica. Per questo motivo, è auspicabile che gli sforzi per abolire definitivamente il commercio clandestino dei pangolini, già minacciati di estinzione, vengano ulteriormente intensificati.
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