REALISMO AUTUNNALE
Il peggioramento repentino della situazione ha anche
evidenziato che nei mesi estivi abbiamo perso molte occasioni per preparare la
macchina organizzativa al peggio. La capacità di testing e soprattutto di tracing
appare sottodimensionata. Le code agli hotspot e le notizie delle difficoltà e delle
lentezze nel tenere traccia dei possibili contagiati ne sono la prova più
lampante. La disorganizzazione generale e la disomogeneità regionale si
mostrano più o meno immutate. Il caso Lazio mi pare emblematico: record di
occupazione delle terapie intensive con un numero di positivi identificati
molto più basso della Lombardia, chiaro segno del fatto che il numero di
contagiati reali è molto più alto di quello che sembra.
Sul versante terapeutico, anche il Remdesivir non sta dando
grandi soddisfazioni. Non è ancora detto che non serva proprio a niente, ma i
risultati intermedi del trial clinico Solidarity hanno portato l’OMS a concludere che ha un effetto scarso, soprattutto in termini di prevenzione
della mortalità.
Anche se alla fine di novembre venissero approvati uno o più
vaccini, a seguito di buoni dati di fase III, difficilmente avremo un tasso di
vaccinazione significativo della popolazione prima dei mesi primaverili.
In sostanza, ci si prospettano mesi durissimi. Evitare il
collasso dell’economia e mantenere aperte almeno scuole elementari e medie, per
non devastare la maturazione sociale di un’intera generazione, richiederà
grandi sforzi e un enorme senso di responsabilità. Guardare indietro per sapere
se tutto questo è colpa dell’apertura estiva delle discoteche, guardare di lato
per dire che alcuni stanno peggio di noi, o guardarsi l’ombelico, pensando che
le cose potrebbero non andare così male, sarebbe inutile e pericoloso. In
questo momento chi ci governa deve mostrare intelligenza e decisione e cercare
di anticipare i progressi del virus, piuttosto che corrergli dietro. La
scusante del non conoscere bene il virus appare oramai totalmente inaccettabile.
Non lo conosce solo chi non vuole conoscerlo: è esattamente la stessa belva con
cui abbiamo già combattuto. Per contrastarlo efficacemente, non bisogna
inventarsi niente di nuovo, ma guardare a chi è riuscito veramente a
imbrigliarlo. Taiwan ha dimostrato che il lockdown non è necessario, dove si
riesca a tenere bassa la quantità di virus in circolazione. La Cina ha
dimostrato che dove il virus circola in abbondanza il lockdown non è nemmeno
sufficiente: se ci si limita a rinchiudere in casa i positivi e i possibili
contagiati, il virus dilaga nelle famiglie. Visto che la storia si sta
ripetendo, con connotati forse peggiori della prima volta, a parte l’ampia
disponibilità di mascherine che abbiamo oggi, non credo di poter fare altro che
rimandare ad un mio vecchio post, basato sull’analisi dell’epidemia di Wuhan.
Molti sono convinti che oramai l’unico modo di gestire
ragionevolmente la situazione sia lasciar circolare il virus tra la popolazione
più giovane e proteggere la popolazione anziana. Non so se si rendono conto di
quante persone bisognerebbe proteggere, dato che più del 20% della popolazione
Italiana ha più di 65 anni. Proteggerli come? Per quanto tempo? A me pare che l’unica
strategia praticabile sia cercare sia abbassare il famoso indice R(t) isolando i positivi e
quelli che potrebbero diventarlo, anche prima di fare i tamponi o senza fare i
tamponi, anche solo per 10 giorni, usando tutti i mezzi disponibili. Un utilizzo
molto più massiccio degli alberghi a questo scopo sarebbe da valutare
attentamente.
Temo invece che, come abbiamo già visto, ci muoveremo in
modo tardivo e scomposto. Spero ardentemente di sbagliarmi.
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