REALISMO AUTUNNALE



La riserva di cauto ottimismo che avevo espresso nel post precedente si è esaurita. Oramai è chiaro che non possiamo farci illusioni: i lupi circolano senza troppe difficoltà e hanno cominciato ad assestare i loro morsi. Le rianimazioni si stanno riempiendo e la mortalità è in rapido aumento. Lo sconto dell’indebolimento estivo, dovuto alle condizioni climatiche, è finito. Il fatto che ci sia stata una ripresa non solo in Europa ma anche negli Stati Uniti, dove è iniziata la terza ondata, è un chiaro segno che l’autunno e l’inverno saranno propizi al virus, che non perdonerà più tanto facilmente le nostre ingenuità. L’idea di stare molto meglio di Francia, Inghilterra e Spagna era solo illusoria: al ritmo di crescita attuale, tra qualche giorno avremo un numero di casi giornalieri del tutto paragonabile a loro. Il nostro rigore estivo relativamente maggiore ci ha dato solo pochi giorni di vantaggio. Rispetto alla prima ondata, la seconda ha caratteristiche potenzialmente ancora più devastanti: secondo recenti analisi della Fondazione GIMBE il 75% dei contagi attualmente avviene in ambito familiare e il numero di focolai sta aumentando proporzionalmente al numero di casi, cioè esponenzialmente. Le grandi città, che erano state relativamente risparmiate dalla prima ondata, non lo sono più. Sulla base dei contagi che ci sono già stati, non bisogna essere dei grandi profeti per prevedere che se finora abbiamo contato i morti a decine, tra pochi giorni cominceremo a contarli di nuovo a centinaia.

Il peggioramento repentino della situazione ha anche evidenziato che nei mesi estivi abbiamo perso molte occasioni per preparare la macchina organizzativa al peggio. La capacità di testing e soprattutto di tracing appare sottodimensionata. Le code agli hotspot e le notizie delle difficoltà e delle lentezze nel tenere traccia dei possibili contagiati ne sono la prova più lampante. La disorganizzazione generale e la disomogeneità regionale si mostrano più o meno immutate. Il caso Lazio mi pare emblematico: record di occupazione delle terapie intensive con un numero di positivi identificati molto più basso della Lombardia, chiaro segno del fatto che il numero di contagiati reali è molto più alto di quello che sembra.

Sul versante terapeutico, anche il Remdesivir non sta dando grandi soddisfazioni. Non è ancora detto che non serva proprio a niente, ma i risultati intermedi del trial clinico Solidarity hanno portato l’OMS a concludere che ha un effetto scarso, soprattutto in termini di prevenzione della mortalità.

Anche se alla fine di novembre venissero approvati uno o più vaccini, a seguito di buoni dati di fase III, difficilmente avremo un tasso di vaccinazione significativo della popolazione prima dei mesi primaverili.

In sostanza, ci si prospettano mesi durissimi. Evitare il collasso dell’economia e mantenere aperte almeno scuole elementari e medie, per non devastare la maturazione sociale di un’intera generazione, richiederà grandi sforzi e un enorme senso di responsabilità. Guardare indietro per sapere se tutto questo è colpa dell’apertura estiva delle discoteche, guardare di lato per dire che alcuni stanno peggio di noi, o guardarsi l’ombelico, pensando che le cose potrebbero non andare così male, sarebbe inutile e pericoloso. In questo momento chi ci governa deve mostrare intelligenza e decisione e cercare di anticipare i progressi del virus, piuttosto che corrergli dietro. La scusante del non conoscere bene il virus appare oramai totalmente inaccettabile. Non lo conosce solo chi non vuole conoscerlo: è esattamente la stessa belva con cui abbiamo già combattuto. Per contrastarlo efficacemente, non bisogna inventarsi niente di nuovo, ma guardare a chi è riuscito veramente a imbrigliarlo. Taiwan ha dimostrato che il lockdown non è necessario, dove si riesca a tenere bassa la quantità di virus in circolazione. La Cina ha dimostrato che dove il virus circola in abbondanza il lockdown non è nemmeno sufficiente: se ci si limita a rinchiudere in casa i positivi e i possibili contagiati, il virus dilaga nelle famiglie. Visto che la storia si sta ripetendo, con connotati forse peggiori della prima volta, a parte l’ampia disponibilità di mascherine che abbiamo oggi, non credo di poter fare altro che rimandare ad un mio vecchio post, basato sull’analisi dell’epidemia di Wuhan.

Molti sono convinti che oramai l’unico modo di gestire ragionevolmente la situazione sia lasciar circolare il virus tra la popolazione più giovane e proteggere la popolazione anziana. Non so se si rendono conto di quante persone bisognerebbe proteggere, dato che più del 20% della popolazione Italiana ha più di 65 anni. Proteggerli come? Per quanto tempo? A me pare che l’unica strategia praticabile sia cercare sia abbassare  il famoso indice R(t) isolando i positivi e quelli che potrebbero diventarlo, anche prima di fare i tamponi o senza fare i tamponi, anche solo per 10 giorni, usando tutti i mezzi disponibili. Un utilizzo molto più massiccio degli alberghi a questo scopo sarebbe da valutare attentamente.

Temo invece che, come abbiamo già visto, ci muoveremo in modo tardivo e scomposto. Spero ardentemente di sbagliarmi.

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